Introduzione alle letture
Prima lettura
2Re 5,14-17
Tornato Naamàn dall’uomo di Dio, confessò il Signore.
Questa narrazione di una conversione e di un “battesimo” si snoda sulla scia di un cammino spirituale. Naamàn, capo di stato maggiore della Siria, deve ascendere nella sua ricerca di guarigione dal re (v.6) al profeta (vv.8-9), da questi al suo servo (v.10), dai fiumi meravigliosi di Damasco (v.12) all’esiguo Giordano (v.14), dal desiderio di grandi rituali magici (v.11) al semplice gesto dell’immersione nel Giordano. Attraverso questa umiliazione e questo atto di obbedienza lo straniero non è solo guarito dalla lebbra, ma diviene anche un convertito. Naamàn, infatti, prorompe in una confessione di fede esclusiva nel Signore: “Ora so che no c’è Dio su tutta la terra se non in Israele” (v15). Ed è anche significativo il gesto del sacco di terra presa da Israele per poter celebrare su di essa in Siria riti e sacrifici: ormai Naamàn diventa l’emblema del vero credente che professa la sua fede nel Signore e celebra il culto autentico (v17).
Seconda lettura
2Tm 2,8-13
Se perseveriamo, con lui anche regneremo.
Questo brano si apre con un piccolo Credo cristiano (v.8). Messianicità davidica, morte e risurrezione sono le te componenti di questa essenziale professione di fede che evoca quella posta in aperura alla lettera ai Romani: “Nato da seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità in virtù della risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore”(Rm 1,3-4). Paolo a questo punto ricorda la sua passione nella prigionia di Roma, una passione che, come quella del Cristo, è offerta per gli altri “perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù” (v.10). La conformità al Cristo diventa oggetto di preghiera. E’ l’inno di lode con cui Paolo chiude il nostro brano (vv. 11-13), un inno che un esegeta ha definito “il canto di lode del martire”. La comunione con la morte del Cristo nel battesimo comporta la partecipazione alla vita del Risorto: “Se siamo morti con il Cristo, crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 6,8).
VANGELO
Lc 17,11-19
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.
Ancora una volta un samaritano, quindi un “diverso”, per di più lebbroso, è presentato come un modello di fede e d’amore. L’accento del brano è, quindi, posto sulla qualità della persona che vive la riconoscenza, uno straniero e lebbroso. Si può quasi dire che in queste due caratteristiche Luca abbia concentrato l’essenza dell’emarginazione e della povertà. Il lebbroso era costretto a vivere fuori delle città, la sua malattia era considerata il segno più parlante della maledizione divina per un peccato gravissimo, il suo destino era quello di scomunicato. E’ questo il primo tratto della “diversità” del protagonista: ma non meno rilevante è la sua qualità di “samaritano”, di eterodosso, di nemico di Israele. Da questi due dati scaturisce, allora, l’idea fondamentale del brano: la salvezza è offerta a tutti e in particolare ai meno privilegiati. Se, infatti, gli altri lebbrosi saranno solo “guariti”, il samaritano riconoscente sarà anche salvato.
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